"L'airone" di Giorgio Bassani cinquant'anni anni dopo

L'Airone di Giorgio Bassani è uscito nel 1968 e ha vinto il Premio Campiello l'anno successivo. Questa recensione è apparsa sul blog Librobreve nel 2015. In oltre 7 anni il blog ha ospitato centinaia di recensioni e qui ora se ne ripropongono alcune in replica.


Non c'entra nulla la copertina dell'edizione Universale Economica Feltrinelli, è fuorviante, scentrata e in fondo assai brutta. Bisognerebbe suggerire a chi si occupa di grafica editoriale di farsi almeno raccontare il libro su cui lavora o di cercare qualche stralcio di trama in rete, a maggior ragione se veste i libri di una casa editrice che a suo tempo, come altre, fece scuola anche nella grafica editoriale. Poi si sa che le banche dati di immagini usate per la grafica sono simpatiche e comode: si digita una parola-chiave, "airone" ad esempio, e il motore di ricerca restituisce un'infinità di immagini di aironi, in ogni salsa. L'airone, animale cacciato, simbolo e titolo di questo romanzo, deve finire imbalsamato. Una statuina su un piedistallo non ci azzecca per niente e qualcuno avrebbe potuto fermare questa copertina, dal momento che nelle case editrici maggiori dovrebbero ancora funzionare dei meccanismi di ridondanza ciclica e controllo, in un processo che si crede ancora "di squadra" (o forse non lo è più?). Nel romanzo, bellissimo, troviamo quest'uccello dentro la descrizione di un volo strano, stanco, e certo non fermo con il becco verticale. L'airone appare al centro della narrazione, poco prima di essere abbattuto nelle valli della bassa ferrarese, e poi lo immaginiamo nel bagagliaio di un'automobile, in attesa di essere sottoposto a tassidermia:
Veniva avanti con fatica evidente, arrancando. Il collo lungo a esse, stretto fra le scapole; le vaste ali marrone, di una pesantezza da stoffa, aperte a tirarsi sotto la pancia il maggior volume di aria possibile: sembrava non farcela a tagliare di traverso il vento, e anzi in procinto ad ogni istante di venire travolto, d'essere spazzato via come uno straccio.
Insomma, non ci siamo proprio con quest'immagine che illustra l'edizione economica de L'airone di Giorgio Bassani (pp. 134, euro 7), quinto libro del secondo ciclo de Il romanzo di Ferrara. Ci tenevo a dirlo, perché è un libro importante.

Succede che si possano tirar fuori le cose migliori insistendo con una storia tutta tesa nell'arco di una giornata. Come scrivevo un anno fa circa, il Calvino più interessante resta a mio avviso quello inquieto e destabilizzato de La giornata d'uno scrutatore. D'accordo, mi diranno i più accorti, prima c'era stata la giornata dell'Ulisse joyciano, ma vorrei evitare di risalire a tanto e mi tengo i casi in cui il romanzo breve (o il racconto lungo e la novella, come in Pirandello) si sforza di dare tutto in un giorno. Così accade anche nella storia di Edgardo Limentani, proprietario terriero ferrarese che si sveglia prestissimo in una domenica d'inverno del 1947 per riprendere un'abitudine da tempo tralasciata: la caccia in botte nelle valli del Po. Assistiamo, attraverso il solito ralenti notomizzante bassaniano, ai gesti che seguono una precoce sveglia, veniamo a conoscenza delle sue difficoltà di liberare l'intestino (e sarà una costante per tutta la fastidiosa giornata che lo attende, che ha per contrappeso l'abbuffata nauseata e annaffiata dal molto vino del pomeriggio). E - solo per completare il tratteggio della trama - lo seguiamo lasciare presto la casa dove abitano la moglie ormai distaccata, la figlia e la vecchia madre e dirigersi verso le valli della bassa ferrarese. La tenuta denominata "Montina", Codigoro, Pomposa e Volano: l'azione si svolge circa in questo poligono. La caccia in valle in compagnia di una guida messa a disposizione da un cugino recentemente riallacciato inizia tardi, molto più tardi rispetto a quanto previsto da una decente tabella di marcia di cacciatore in valle. Già in questo indugiare della prima parte del romanzo si profila il senso di malessere e disgusto acuto che porterà il protagonista al suicidio, gesto in realtà non narrato ma descritto meticolosamente nella preparazione (il libro si tronca infatti con un abituale colloquio a tarda sera tra il protagonista e la madre e, a conti fatti, il suicidio vero e proprio non è narrato). La caccia termina nel primo pomeriggio, quando il protagonista si dirige con molta fame verso un ristorante gestito da un ex fascista, mangia e beve e si corica a letto, al piano di sopra, per dormire in realtà pochissimo, disturbato da un sogno in cui entra la prostituta intravista durante il pasto. Di qui il ritorno all'aperto, la parte più bella e decisiva del libro, il guadagno di una felicità nella risolutezza di compiere un gesto. Spicca la stupenda scena della vetrina del negozio dell'imbalsamatore, e il lento, buio ritorno alla casa, quando Edgardo salterà la cena.

L'airone è naturalmente il termine di similitudine col protagonista. La "famosa vita" (stupenda quest'espressione usata da Bassani, a maggior ragione per il punto del soliloquio in cui la gioca) è assimilabile al volo di quell'uccello intravisto in valle. Romanzo del paesaggio depresso e bonificato accorciato dalla scarsa luce, in cui la geografia della bassa ferrarese e delle valli del Po si trasforma in un'ossessione e in uno specchio, ora concavo ora convesso, in grado di avvicinare alla morte allontanando dalla vita (eppure, proprio in virtù di questa detta lentezza, di compiere quasi il miracolo del viceversa), L'airone assomma in sé alcuni tratti salienti della prosa del Novecento, da Pirandello a Camus, iniettando nell'Italia della fine dei Sessanta - con questo libro Bassani vinse il Campiello nel 1969 - un ripensamento di quella membrana d'anni tra la fine della guerra e l'avvio repubblicano. La lenta e straziante scena dell'airone abbattuto dalla guida Gavino, ex partigiano, narra dell'incrocio di quattro occhi animali malati e resta un frangente alto, in volo, nella prosa del secolo scorso. Ciò che Bassani ha saputo colpire e centrare davvero con questo romanzo è il sentimento che può scaturire dal vero incontro di occhi umani e animali a tiro, ma anche dall'incrocio con gli occhi di animali sottoposti a tassidermia, in un processo progressivamente allucinatorio. Inoltre - e non è poco - Bassani ha saputo porre, con questo romanzo tutto incentrato sul morire, sulla purezza-bellezza-durezza delle ossa dei morti, una nuova domanda davvero animale alla "famosa vita".

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