Jean-Luc Nancy, "Del sesso"

Questo scritto è uscito su Librobreve nel dicembre 2016.


"Cosa facciamo quando facciamo l'amore? (domanda sussidiaria: in quante lingue si dice, più o meno letteralmente, fare l'amore?) Noi non facciamo niente nel senso di produrre qualcosa (se si fa un figlio, che lo si consideri o meno una produzione, non si tratta dell'amore in quanto tale, che potrebbe benissimo essere del tutto assente)." Del sesso, ennesimo librino di una serie dedicata dall'editore Cronopio a Jean-Luc Nancy (pp. 101, euro 10, traduzione di Antonella Moscati, Ida Porfido, Gianluca Valle, a cura e con postfazione di Francesca R. Recchia Luciani), raccoglie tre saggi riconducibili al tema così nitidamente espresso dal titolo. Sulla scia di un interesse filosofico in larga parte francese per questo argomento (si pensi anche alla perseveranza di una linea che da Sade arriva a Bataille, tralasciando il più scontato Foucault), anche Nancy arriva a occuparsi, per ora in forma estemporanea e puntiforme, di un tema che nei nostri discorsi di tutti i giorni è chiamato in causa sovente, talora perché "poco dibattuto e quindi sottovalutato" talora perché "sopravvalutato". Ho come l'impressione che entrambe le posizioni, estreme e per questo significative, coincidano con altrettante pose intellettuali o addirittura ideologiche, che non di rado sono riuscito a isolare persino nel mio ristretto giro di amicizie. Ben venga dunque un ritorno abbastanza schietto sul tema, in vista di un lavoro più ampio e organico che il nostro filosofo addottoratosi su Kant con Ricoeur sembra annunciare nella "Avvertenza" iniziale del volume. Proprio in questo suo breve scritto accompagnatorio, Nancy utilmente ricorda che il sesso designa
una linea di forza o di fuga che attraversa tutta l'esistenza, attraversando tutti i sessi, al plurale, e le sessualità. Quella linea che permette, come diceva Merleau-Ponty, che "la storia sessuale di un uomo fornisca la chiave della sua vita" - anche se questa chiave apre ad abissi o a spazi intersiderali.
Il primo scritto intitolato "Sexistence" contiene un passaggio chiave: se è vero che la potenza trasformativa del sesso è straordinaria e la sessualità è ambito rivoluzionario par excellence, possiamo far reagire questa considerazione col pensiero che fare l'amore "vuol dire disfare il mio essere, il mio possesso, la mia opera, è fare una non-opera assoluta". La nota finale di Francesca R. Recchia Luciani ricorda il succitato Kant in questo passaggio:
Nella «metafisica dell’amore sessuale» (intesa non come trascendimento ma come intensificazione della fisica da cui proviene) che Nancy presenta in questa trilogia di testi non c’è traccia dello stigma schopenhaueriano che condanna l’eros all’eterna dannazione della monotona riproducibilità seriale di esemplari della specie umana, perché non il fatto biologico della generazione col suo côté produttivistico-poietico («Fare l’amore fa altro rispetto al fare un figlio, anche quando lo fa») è qui l’interrogante quanto piuttosto la constatazione che «il sesso è un abisso e una violenza: tramite la seconda, che subiamo, cadiamo nel primo, dove non capiamo nulla». Semmai qui riecheggia l’esclamazione stupita e dischiudente di Kant che, scorgendo quell’«abisso» e quella «violenza», si ritrae dinanzi alle spiegazioni possibili ma tutte ugualmente inadeguate, alle quali Nancy contrappone la necessità, né esplicativa né analitica, ma coerentemente filosofica di «pensare il sesso con il valore di un esistenziale – di una disposizione inerente all’esercizio stesso dell’esistere». Se, come Nancy scrive in Corpus «l’amore è il tocco dell’aperto», fare l’amore è un posizionarsi inconsapevole, un collocarsi instabilmente «sul bordo di un ‘fare’ che fondamentalmente non fa che toccare il duplice al di là dell’animale e del divino, due nomi che non dicono altro se non che l’esistenza è la sua stessa deiscenza, una sexistence».


Il secondo contributo intitolato "C'è rapporto sessuale - e poi" è da leggersi in continuità con l'assioma lacaniano "non c'è rapporto sessuale", emerso quando Lacan leggeva la parola "rapporto" in modo duplice (in inglese relation e report). Il breve intervento, già uscito in "Littérature" 2006/2, si pone il problema di indagare cosa c'è dopo il rapporto sessuale e cosa rimane, anche oltre la tristezza, l'abbattimento e la sazietà della fine del rapporto. Rimane appunto il rapporto, che non è "né essere né divenire", ma qualcosa che indica ciò "che va da "uno-niente" a, oppure verso, un altro "uno-niente"". In un passaggio Nancy ricorda che il rapporto sessuale "indica che noi siamo senza origine e che non siamo in alcun modo origine di noi stessi. Il rapporto travolge arci-originariamente ogni autocostituzione, ogni autogenerazione." Il contributo si conclude con un'appendice intitolata "Esclamazioni", sul significato e uso pornografico della parola nei rapporti sessuali.

In "Corpo nudo", che chiude il trittico, Nancy si concentra più sulla intimità e quindi sulla nudità, la quale non è mai definitiva ed è descritta come "espressione dell'eterogeneo". Necessario è afferrare cosa intenda Nancy per "eterogeneo", perché ci torneremo anche in chiusura, tra pochissimo:
Quest'ultimo non indica un altro ordine o un elemento parallelo all'omogeneo. Di fatto, rappresenta la differenza interna all'omogeneo e con la quale l'omogeneo - in quanto spazio di trasmissione, della comunicazione, dello scambio e della condivisione - può dar luogo a dei veri fenomeni di "trasmissione" o di "condivisione", a dei veri rapporti. È necessaria l'eterogeneità dei soggetti, cioè dei desideri: desiderio d'essere o di "perseverare nell'essere" per dirla con Spinoza, o anche desiderio dell'altro, dell'altro essere o dell'altro dall'essere.
Ricordando l'interior intimo meo di Agostino, Nancy rammenta che "l'intimità del corpo nudo è più intima dell'intimo" e affonda il suo discorso sulla nudità e intimità, che fu pronunciato al festival di Modena nel 2011, in una direzione che s'allontana dalla considerazione del corpo nudo come "ultimo grado" di un processo di spoliazione, e lo inquadra invece come "esposizione di ciò che non si lascia cogliere né identificare come verità, o almeno non come una verità di adeguazione o di significazione". Quando due persone si spogliano, ricorda Nancy, si mettono nella condizione di non comunicare più, si spogliano dei segni e i loro corpi non sono più né segni né portatori di segni. Tra gli esseri si verifica "una sospensione dello scambio, una sincope del simbolico e l'effrazione dell'eterogeneo all'interno dell'omogeneo", la quale si manifesta quando il corpo nudo, a causa della sua nudità, diviene un corpo visto.

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